La scuola è un’istituzione fondamentale nel processo di crescita di un individuo. In questo luogo i bambini dovrebbero imparare non solo la grammatica, i numeri e la storia, ma anche le regole di vita comunitaria, la responsabilità e il rispetto. Con il primo ingresso nel mondo scolastico i bambini entrano in una dinamica sociale decisamente più ampia di quella vissuta nel contesto familiare, che rappresenta il primo prototipo di gruppo sociale. La scuola si configura come un campo nel quale comprendere la gestione del tempo, degli spazi e dell’altro. Dalla primaria alla secondaria di II grado il bambino cresce, impara e scopre in che modo potersi inserire nel mondo. Per questo motivo risulta essere fondamentale iniziare dalla scuola quando si parla di integrazione.
La disabilità è un concetto in evoluzione e il processo di integrazione non riesce a stare al passo con i tempi, confinando quindi la disabilità ad essere un fatto sociale. Infatti, se ci si sofferma sui cambiamenti avvenuti a livello teorico a partire dall’istituzione dell’ICF (Classifica Internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) è immediato comprendere che lo svantaggio maggiore viene dalla società che non è in grado di offrire pari opportunità a tutti i cittadini. Nel momento in cui uno stato non è in grado di provvedere alla reale eliminazione di barriere architettoniche e senso-percettive la disabilità resta però paralizzata nella posizione di fatto sociale, ovvero una modalità capace di esercitare su un individuo una costrizione esteriore. Ecco quindi che la disabilità suscita pietismo, spettacolarizzazione e atteggiamenti paternalistici che non sono funzionali per nessuno.
Concettualmente e giuridicamente è stato stabilito che lo stato deve garantire gli stessi diritti a ogni cittadino, garantendo a quest’ultimo la piena dignità sociale. In un paese come l’Italia però, dove solo il 18% delle scuole risulta accessibile considerando le barriere architettoniche e le barriere senso-percettive, il processo di integrazione è lento, talmente lento da apparire cristallizzato tra scartoffie e disinteresse.
Per questo motivo è importante partire dalla scuola per insegnare agli adulti di domani la condivisione delle difficoltà. Insegnando che essere un gruppo significa proprio questo: le difficoltà di uno sono le difficoltà di tutti. I genitori dei bambini con disabilità devono avere la garanzia che la scuola faccia il proprio lavoro mettendo a disposizione un ambiente accessibile e del personale preparato e attento. Insegnati, OEPA, addetti alla comunicazione, collaboratori scolastici. Tutte queste figure professionali devono lavorare in sinergia mantenendo la comunicazione con la famiglia dell’alunno con disabilità chiara e puntuale. Hanno inoltre il compito di lavorare sull’inserimento sociale e sulla mediazione con la classe.
Sapere di realtà che non hanno l’interesse, la motivazione o la capacità di contribuire attivamente e positivamente alla crescita del gruppo classe di uno studente con disabilità è riprovevole. Per questo motivo è importante richiedere tutte le figure previste a sostegno del proprio figlio e segnalare ogni problema che insorge nel farlo. Solamente con la collaborazione di tutti sarà possibile raggiungere l’obiettivo e garantire concretamente ciò che la legge prevede tra i diritti fondamentali.